Una previsione di crescita del 17% nel 2014 rispetto al 2013, un'occupazione stabile e, anzi, in crescita e uno stabilimento tutto nuovo in costruzione accanto al vecchio, ormai insufficiente. Nel panorama delle aziende manifatturiere in Italia del settore moda, preoccupato della crisi interna, dell'euro troppo forte, dei venti di guerra tra Ucraina e Russia, sono pochi, ma ci sono gli imprenditori che professano l'esigenza di continuare a investire sul Made in Italy per contrastare la crisi.
Un esempio, a cercare tra gli espositori del Mipel, la mostra della pelletteria e accessori moda in corso alla Fiera di Milano fino al 3 settembre, è quello del Gruppo Emergenti Italiani, tre brand riuniti in un'azienda cesenate che disegnano, producono e vendono borse e accessori totalmente Made in Italy. Tre marchi per prodotti diversi. Gabs di Franco Gabbrielli, che fa borse caratterizzate dai bottoni blu e tutte rigorosamente trasformabili. Ognuna parte cartella, ma poi diventa shopper e bauletto a seconda delle necessità e del gusto del momento, una linea divertente, colorata dedicata ai giovani.
Caterina Lucchi è invece la designer di una linea romantica, retro' e vintage e infine Campomaggi che propone esemplari lavorati fin dal materiale grezzo e che a opera conclusa diventano tutti pezzi unici e diversi. Una gamma che si colloca nella fascia media del mercato con prezzi dai 150 ai 350 euro per un'azienda che da quattro anni cresce a due cifre e che prevede di aumentare i suoi 125 dipendenti con nuovi collaboratori da cercare tra i disoccupati delle aziende chiuse del settore, magari anche ex titolari e manager.
"Perché - spiegano gli Emergenti Italiani - a questo livello abbiamo bisogno di maestria, esperienza e idee e si può crescere nella qualità se ci si lascia avvicinare alla persone più brave"'. Idee e manualità come quelle di 'DalaLeo', marchio di una signora trentina, Luisa Leonardi, che produce in Brasile la 'borsa della favela' luminosa, luccicante come una maglia da armatura, e incredibilmente realizzata solo con le linguette delle lattine, del filo e un uncinetto. La materia prima si compra dai 'catadores', i disperati che raccolgono le lattine di birra e di altre bevande rovistando tra le immondizie.
"Le linguette, non quelle della Coca Cola che non vanno bene perché almeno in Brasile non sono di alluminio, costano 10 euro al chilo, ma 2/3 sono scarto - spiega l'imprenditrice - vengono lavate e affidate alle donne artigiane della favela che ne ricavano il loro principale sostentamento". Poi i semilavorati arrivano in Italia a Riva del Garda dove vengono rifinite. Il brand produce un centinaio di modelli venduti in tutto il mondo a prezzi che vanno dagli 80 ai 150 euro. Manualità estrema e totale "che dà una grande soddisfazione". Ma perché non si può fare tutto in Italia? "Perché da noi non si beve abbastanza. Il Brasile è il più grande produttore al mondo di birra e loro hanno 22 feste comandate, circa il doppio delle nostre".